La fondazione delle piccole sorelle dell’Agnello – domenicane – risale al 1983, quella dei piccoli fratelli al 1990, ma alle origini di questa fondazione vi è naturalmente una “preistoria” che illumina quanto è avvenuto dopo. Bisogna risalire al 1968 e agli anni che seguirono.
Parigi 1968
Siamo suore della Congregazione Romana di San Domenico e ci siamo stabilite a Parigi, nel cuore del Quartiere Latino, il quartiere dell’Odéon. Si è nel pieno della rivoluzione detta «culturale», soffia un vento violento, lasciandosi dietro il caos, il disordine. Marx, Hegel divengono per molti i maestri di pensiero, le comunità ecclesiali ne vengono colpite, un buon numero di preti e religiosi lasciano il sacerdozio e la vita consacrata. Nella nostra piccola comunità, che accoglie una casa di accoglienza per studenti, qualche pietra del selciato finisce sul nostro terrazzo, ma niente di tutto questo ci può separare dall’amore di Gesù che cresce nei nostri cuori. L’amore fraterno che viviamo e il soffio dello Spirito sono più forti. Mettiamo un cartello alla finestra della cappella che i passanti possono leggere: «Cappella aperta al pubblico».
Dei giovani universitari cominciano a unirsi a noi. Io avevo, da parte mia, la grazia straordinaria di studiare i Padri della Chiesa alla Sorbonne con un gruppo di professori cristiani, che resistevano alla tempesta e che neanche i venti più folli riuscivano a far vacillare. Un giorno, in un’aula universitaria, una studente grida: «Chi ha perduto questo?». Io riconosco il mio rosario e dichiaro, vestita da domenicana com’ero, di essere la proprietaria di quella corona, che mi viene riconsegnata. Da quel giorno un buon numero di studenti troverà la strada della comunità.
Il gruppo che viene a celebrare la liturgia cresce sempre più. Insieme attingiamo alle fonti dell’Oriente e dell’Occidente, contempliamo lungamente le icone della Trinità, della Vergine e di Cristo, studiamo la Summa di san Tommaso d’Aquino e soprattutto il Vangelo.
Ritorno alle origini
Dei giovani frati domenicani, che si trovano in una situazione identica alla nostra, si uniscono a noi. Giovani patrologi anche loro, amano la Chiesa, Gesù Cristo e il suo Vangelo. «Eravamo assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella frazione del pane e nelle preghiere» (cf. Atti degli apostoli 2,42). Una parola tornava sovente nella preghiera:
«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Matteo 11,25). «Piccoli», dovevamo abbandonarci a questa grande benedizione di Gesù e, al soffio dello Spirito di lode e adorazione, lasciarci condurre nell’intimità della Vita trinitaria: senza fine cantavamo la beata e vivificante Trinità:
O beata Trinità,
Sorgente eterna della vita,
santificaci con la tua presenza
perché possiamo cantare senza fine la tua Gloria!
Sperimentavamo che la rivoluzione è quella delle profondità del cuore. Bisognava vivere del Vangelo di Gesù. I Padri della Chiesa erano i nostri maestri: Ambrogio di Milano e Agostino, Cassiano, Sofronio di Gerusalemme, Massimo il Confessore e san Tommaso d’Aquino, svelatoci dal padre Hubert… Quanti nomi amici… Accogliere la Tradizione nella novità dell’Oggi di Dio, nel cuore della Chiesa, al soffio del Vaticano II, era il nostro proposito e, in definitiva, nel contesto di quegli anni… una rivoluzione!
Nel cuore di questa tormenta, il Signore continua a costruire la sua Chiesa sulla roccia dell’amicizia e noi viviamo una profonda unanimità fraterna. E’ a questo periodo che risale il nostro primo incontro con il padre Christoph Schönborn o.p., che oggi è il cardinale arcivescovo di Vienna, in Austria. A quel tempo chi lo poteva immaginare? Ora è anche il padre della Comunità! Il suo motto vescovile, d’altra parte, è: «Io vi chiamo amici» (Giovanni 15,15).
Alla luce del Vangelo
Alla scuola del nostro padre san Domenico, che a sua volta aveva lui stesso ricevuto questa pratica dal monaco Cassiano, meditiamo la Parola di Dio alla luce dei Padri della Chiesa. Impariamo a memoria il Vangelo, lo impariamo con il cuore e, come dicono le Scritture, lo «mangiamo», lo manduchiamo. Potete leggere ciò che è detto al profeta Ezechiele: «Mangia il libro!» (cf. Ezechiele 3,1), e per san Giovanni, nell’Apocalisse, il termine è ancora più preciso: «Divora il libro» (cf. Apocalisse 10,9).
Ogni giorno, alla luce del Vangelo, ci ponevamo questa domanda – e lo facciamo ancora oggi: «Chi è Dio? Chi è l’uomo?». Chi meglio di Gesù Cristo e del santo Vangelo può rispondere a questa domanda? La vita, la vera vita, amante, che fa vivere, sgorgava dai nostri cuori e trionfava segretamente sul nichilismo che ci circondava. Gesù, mite e umile di cuore, ci conduceva sui cammini della pace che la violenza del momento non poteva scalfire. Così la nostra vita diveniva ogni giorno più mariana: avevamo l’abitudine di dire il rosario, devozione particolarmente cara a san Domenico, ma la manducazione del Vangelo ci univa alla Vergine così come è presentata nel Vangelo: «Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (cf. Luca 2,19). Questo piccolo gruppo di studenti, di universitari, di frati domenicani dimorava tutto raccolto attorno a Maria. Un fervore rinnovato ci era donato nella preghiera, i legami dell’amicizia si approfondivano nella contemplazione del Mistero di Dio.
Non avevamo più vino ed ecco che ci veniva offerto gratuitamente quello migliore. Il chicco di grano caduto a terra era morto, gli ideologi gridavano vittoria, ma non sapevano che il chicco di grano caduto a terra, se muore, porta molto frutto (cf. Giovanni 12,24).
Nel cuore della Chiesa
Di fatto, la vita nello Spirito Santo erompeva allo stesso modo in altri gruppi e dava vita a nuove comunità, una vera primavera si annunciava nella Chiesa. Sulle braci di un fuoco che sembrava spegnersi, lo Spirito di Dio aveva soffiato e un fuoco nuovo si era segretamente acceso nel cuore di tutti i credenti. La luce che le tenebre non possono vincere era in tutti i cuori (cf. Giovanni 1,5), un’unzione divina e santa veniva a guarire le nostre ferite. Veramente Gesù è Salvatore e Signore, Egli ci dona il suo Spirito, la Chiesa è nostra Madre, la nostra Casa.
La rivoluzione di maggio del ‘68 sembrava voler travolgere tutto al suo passaggio, ma era stata preceduta nel cuore della Chiesa, l’abbiamo detto, dal Concilio Vaticano II: ecco l’unica, vera rivoluzione, fondata sull’amore di Dio e di tutti i nostri fratelli in umanità. Il Concilio aveva appena donato al mondo una Chiesa rinnovata dallo Spirito del Signore. La liturgia del Concilio ci faceva vivere al ritmo del cuore di Dio e del suo amore per gli uomini. Il Vangelo custodito nel cuore con Maria, vissuto nell’amore di Dio e del prossimo, il Vangelo che nutre la preghiera è una forza di resistenza vittoriosa su ogni disordine e ogni male. Nel cuore della Chiesa, è nata la civiltà dell’Amore. «Le grandi acque non potranno spegnerla, né i fiumi travolgerla» (cf. Cantico dei Cantici 8,7).
San Domenico e…
Domenico “il figlio” povero nella notte
Nella preghiera, nelle notti di adorazione, il grido del nostro padre san Domenico è divenuto il nostro: «Misericordia mia, che ne sarà dei peccatori?», e noi aggiungiamo: «dei quali noi siamo i primi». Nella sua preghiera, san Domenico ripeteva senza sosta così: «Sono io che ho peccato!».
«Misericordia mia, che ne sarà dei peccatori?». Questo grido del nostro padre san Domenico, che risuona nelle notti di preghiera e che, di giorno, gli stringe il cuore, questo grido di supplica è quello che egli percepisce al cuore della stessa Trinità: Dio, il Padre, amico degli uomini, si volge verso il Figlio e gli chiede: «Tu, Misericordia mia – espressione perfetta del mio amore misericordioso, che ne sarà dei peccatori?». E il Figlio risponde, ce lo dicono le Scritture:
«Ecco, io vengo! Eccomi, manda me!» (cf. Salmo 39,8 ; Ebrei 10,7)
In comunione con questa misericordia sconvolgente, Domenico si alza per la missione. E noi, affidandoci alla sua intercessione, sul comandamento di Gesù e del suo Vangelo, «andiamo».
Con alcuni giovani universitari, comincio ad andare di notte nei quartieri difficili dove si rifugiano «quelli che stanno nelle tenebre» (cf. Luca 1,79). Ed è l’incontro con i giovani più perduti, con i poveri. Non posso dimenticare il viso di un ragazzo, che si chiamava proprio Domenico e aveva forse sedici anni. Si è inciso dentro di me. Erano i primi tempi della droga a Parigi. Domenico si bucava di eroina, la morte era già scritta sul suo viso.
Fuoco e luce!
Quel giorno cominciai a presentire che l’impotenza che si sperimenta accanto al povero, la paura che a volte ci attanaglia, lasciano il posto a quell’amore che il nostro povero cuore non può produrre, a un amore fino a quel momento sconosciuto. Sì, un altro cuore batte nel nostro, quello di Gesù che ama il povero e lo salva facendosi uno con lui, facendosi uno con me. Sì, la Misericordia che ci manda verso i poveri è un amore più forte della morte.
Dal seno di queste tenebre, in mezzo a tanti visi di sofferenza, sorge il «Santo Volto» di Gesù irradiante questa luce dell’Amore che le tenebre non possono vincere. Il «Mendicante Divino» elemosinava la nostra fede, il nostro amore, la nostra adorazione, perché irrompessero nella notte di questo mondo la tenerezza del Padre e la consolazione dello Spirito, la potenza della Risurrezione, vittoriosa sulle tenebre, sul male e sulla morte. Permettendomi queste missioni notturne, mi era stata fatta una sola raccomandazione: «Non dare mai l’indirizzo della casa!», ma a mia insaputa i poveri mi hanno seguito e l’hanno trovato da soli! Prendono d’assalto la casa, che si riempie velocemente. Ormai le nostre sorti sono legate a questi poveri, che abbiamo alla porta, in casa nostra, e che ci trascinano ovunque dietro a loro. Ci sarebbero molti altri episodi da raccontare. A partire da quel momento, sono stati loro a tracciarci la strada. Che sarà senza ritorno.
Ma certo una casa per studenti, che allo stesso tempo accoglieva i poveri, era una realtà che non poteva durare oltre. I locali non lo permettevano, alcune famiglie si allarmavano. Consegniamo tutto al Signore, invochiamo insieme lo Spirito Santo. Nello scambio fraterno e orante si delinea la tappa successiva.
Questo primo incontro frontale, per così dire, ma tanto cordiale con i poveri, apre, nelle tenebre e nella notte, il combattimento contro il male e la morte e, al tempo stesso, una seconda chiamata: la chiamata alla conversione, alla fede, a credere al Vangelo, a farsi uno con Gesù nella sua Passione e nella sua Croce vittoriosa su ogni male e sulla morte stessa. Bisogna restare in preghiera ai piedi della Croce di Gesù.
Vézelay 1974
Nell’agosto 1974 viviamo un tempo di ritiro a Vézelay, ai piedi della collina, in un piccolo eremo francescano, La Cordelle. Nel 1217, questo luogo accolse alcuni dei primi compagni di Francesco di Assisi, tra cui fra’ Pacifico: furono là per vivere e predicare il Vangelo. Oggi i loro fratelli ospitano le nove piccole sorelle domenicane di Parigi. Noi desideriamo ascoltare la Parola di Dio in questo luogo di silenzio e di luce dove il Vangelo è così fortemente radicato. Il ritiro è predicato da frére Jean-Claude, francescano. Incontro decisivo! Questo fratello di Francesco è abitato dallo stesso desiderio: la preghiera, la passione del Vangelo, il desiderio di farsi uno con Gesù, la necessità di annunciare, come Gesù, la Buona Novella ai poveri.
Poveri e mendicanti
Sapete, si racconta una storia molto bella, un incontro tra Francesco e Domenico che un giorno si sono abbracciati… Francesco e Domenico erano dei poveri di Cristo, dei mendicanti. Nessuno ha dimenticato che Francesco ha sposato «Madonna Povertà», sì, per tutti è il poverello; ma chi sa che Domenico ha imitato la povertà di Cristo Povero? 1 La grazia di questo incontro arrivava fino a noi 2. La nostra storia si inscriveva ormai nell’amicizia che univa i nostri padri san Domenico e san Francesco.
Durante quei tempi di ritiro, una preghiera di domanda torna incessante e riassume tutte le altre: «Facci, Signore, il dono dell’impossibile povertà del tuo Vangelo!». Al termine del ritiro, nient’altro. Non eravamo state capaci d’inventarci il più piccolo mezzo umano per meglio vivere il Vangelo sui passi di Domenico, nessuna riflessione comunitaria era stata sintetizzata, nessun progetto pianificato, niente di niente, se non una immensa speranza, un dono rinnovato delle nostre vite, Dio avrebbe provveduto.
Un segno “grande come una casa”
Viene il momento di disperderci , ogni sorella parte per il periodo annuale di solitudine, due piccole sorelle si fermano ancora per poche ore, e allora… un piccolissimo avvenimento: un frate francescano, felice di trovare là le due piccole sorelle, lancia questa parola che sembra quasi una battuta: «Se volete vivere povere, c’è nel villaggio una piccola casa che delle persone vi prestano per qualche mese!».
Di ritorno a Parigi, tutta la comunità vede, in questa proposta di una piccola casa a Vézelay, un segno, una risposta alla nostra preghiera. Bisogna partire. Le giovani universitarie riconoscono anch’esse un segno di Dio. I segni di Dio spesso sono piccoli piccoli, e poi ad attenderci è l’ignoto, questo sa proprio di Dio!
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò (Genesi 12,1). Sì, l’ora è venuta di lasciare tutto di nuovo, il centro universitario, Parigi, anche i poveri, per seguire Gesù e Gesù solo, povero e crocifisso. Andare «nel deserto» per essere inviate in missione di nuovo quando Dio vorrà.
Veniamo mandate, una sorella anziana ed io, a Vézelay. Suor Jean-Paul o.p., che è provinciale a quel tempo, conferma questo «invio» con una parola profetica: «Per sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo, bisogna farla!». Partiamo «senza oro né argento» per vivere nella preghiera e in povertà.
I primi giorni del novembre 1974, Vézelay ci accoglie con la sua basilica, tutta intrisa, ogni mattina, della luce del Salvatore, «sole che sorge e viene a visitarci dall’alto» (cf. Luca 1,78), e abitata dalla presenza di santa Maria Maddalena. Noi affidiamo alla sua intercessione tutti coloro che abbiamo incontrato durante le notti di Parigi e cominciamo a vivere alla sua scuola «sedute ai piedi del Signore» in ascolto della Parola (cf. Luca 10,39), con Maria, la Madre di Gesù che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». (Luca 2,19)
Tutti i Santi 1974
Vézelay significa anche ritrovare frére Jean-Claude. In un primo momento padre spirituale, Il Signore ce lo dona per fondare con noi più tardi la Comunità dell’Agnello. Padre Christoph Schönborn e frére Jean-Claude fanno personalmente memoria di quei primi momenti a Vézelay. Ascoltiamoli.
Frère Jean-Claude racconta: «Toussaint 74 a Vézelay, una casa piccolissima, poverissima: là padre Christoph affidava la presenza eucaristica del Signore a piccola sorella Marie e a piccola sorella Réginald. Era l’inizio della Comunità dell’Agnello, e noi non lo sapevamo. Nei giorni precedenti, frère Michel Hubaut o.f.m., parroco di Vézelay, ed io avevamo preparato quella piccola casa. La storia era là tutta in germe… E’ buono farne memoria perché nulla si perda del dono di Dio.
“E’ il Signore!” (Giovanni 21,7). Primo giorno, Gesù prende possesso del luogo, è Lui il solo Maestro, l’Amico, lo Sposo, l’Agnello. E’ questo insediamento del Santo Sacramento per mano di padre Christoph a costituire il punto di partenza, la base, il fondamento, la semente iniziale, l’unico riferimento ormai.
“Non vi chiamo più servi ma amici” (Giovanni 15,15). Sì, è proprio l’amicizia che ci riunisce, Marie e le sue sorelle, padre Christoph, i due francescani… e non abbiamo ancora finito di scoprire le meraviglie di questo “amatevi come io vi ho amato” (cf. Giovanni13,34) manifestato tanto chiaramente agli inizi.
Una casa di preghiera… in pieno centro del villaggio, lontano dalla grande città, ma in mezzo agli uomini. La gente la chiamerà anche eremo S. Domenico – in effetti piccola sorella Marie ha vissuto lì da sola per nove mesi. Era un luogo di ritiro, di solitudine, consacrato alla lode e all’intercessione, alla preghiera solitaria, alla liturgia che presto assumerà grande importanza, allo studio, alla custodia e alla trasmissione della Parola di Dio.
“Beati i poveri” (Matteo 5,3). Era una casa davvero povera povera. Rifletteva essa stessa la prima delle Beatitudini. Insieme facciamo questa preghiera: “Signore, facci il dono dell’impossibile povertà del tuo Vangelo!”. Un po’ più tardi, la mendicità e l’itineranza fluiranno inevitabilmente da questo mistero della povertà evangelica».
«Per quanto riguarda me, io resto ancora stupito, dice padre Christoph, di essere stato il testimone privilegiato di quelle prime ore in cui, accompagnandovi a Vézelay, celebrai la prima eucaristia e lasciai alle piccole sorelle Réginald e Marie la Presenza di Gesù, per adorarla, in quella piccola casa poverissima, come le amava nostro padre san Domenico. Il vangelo era quello delle Beatitudini (Matteo 5,1-12). Di certo la mia predicazione, lo ricordiamo tutti, si fece l’eco di quella parola. Era il 1 novembre 1974, festa di tutti i santi. Io mi ricordo una parola di mamma – era con me quel giorno – nell’allontanarci dalle nostre due piccole sorelle, che divenivano “dimora” esse stesse, là con Gesù: “Le lasci… in questa povertà!”. Io credevo, e anche loro, che erano “beate”… sì, di quella gioia che nessuno può rubare, quando si scopre che è possibile lasciare tutto per Gesù e che è il Signore a farlo nelle nostre vite».
Nove mesi di “eremo”
Noi due piccole sorelle restammo due mesi insieme; poi la comunità di Parigi chiede aiuto, si domanda a piccola sorella Réginald di tornare. È l’ora dell’«eremo San Domenico» per piccola sorella Marie.
Tempo di preghiera, di solitudine, d’accoglienza di giovani universitari e poveri in gran numero, tempo in cui l’Agnello ci chiama a seguirlo.
Ritorno alle fonti al soffio del Concilio Vaticano II
Nello stesso tempo mi si chiede di studiare i testi latini che esprimono il carisma dell’Ordine dei Predicatori nella forma più primitiva. Siamo invitate così a ritornare “alle fonti dei fondatori” come lo chiede il concilio Vaticano II. E’ una grazia sconvolgente quella di sperimentare la coincidenza tra l’esperienza di abbandono alla Provvidenza vissuta recentemente e quello che dicono i testi.
Il carisma di san Domenico si svela, espresso in un commovente riassunto: predicare il Vangelo facendo un tutt’uno con il Servo sofferente; “imitando la povertà di Cristo povero” diventare mendicante nel quotidiano per rivelare l’Amore mendicante di Dio, che arriva fino ad offrirsi in sacrificio, in una parola, farsi mendicante per rivelare al mondo l’Agnello di Dio: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!» (Giovanni 1,29), tutto il male del mondo.
Quei testi rivelavano l’esperienza di san Domenico, nostro padre, mentre pregava nella notte. Egli contemplava la passione di nostro Signore Gesù Cristo: il cuore trafitto di Gesù lascia intravedere l’Amore mendicante del Padre che aspetta la pecora smarrita di cui il Figlio è in cerca, Lui, l’Inviato della Misericordia. Questa luce dell’Amore mendicante trasfigura, ora dopo ora, nostro padre Domenico… all’immagine del Servo sofferente di cui prende i tratti. Povero e mendicante, eccolo predicare ovunque il Cristo povero e disprezzato.
Nella sua Provvidenza Dio, attraverso la successione di avvenimenti piccoli, ci conduceva sui passi di Domenico, alla sequela di Gesù. Quei testi illuminavano il dono che Dio ci faceva ogni giorno, meditarli era una semplice azione di grazie. Tutto quello che vivevamo si spiegava: la vita evangelica, così come la voleva Domenico, ci era stata appena offerta, semplice, con un sapore di fonte e d’acqua viva.
E come sempre, il dono di Dio si inserisce nell’umile quotidiano.
Una Comunità nel cuore della Chiesa: 1982-1983
Molto presto altre sorelle, poi delle ragazze si uniscono alle prime tre piccole sorelle. Nel 1982 la Madre generale della nostra Congregazione mi chiama per dirmi: “Quello che porti nel cuore è nuovo, devi avere il coraggio di fondare”. Stiamo proprio parlando della nascita di una nuova comunità nella famiglia domenicana. Bisogna fondarla nella Chiesa. Ma quale vescovo prenderà sotto il suo vincastro questo piccolo gregge nascente? Bisogna domandarlo alla Santa Vergine. Allora ci mettiamo in viaggio, piccola sorella Marie-Noëlle ed io, andiamo come pellegrine fino a Lourdes per mendicare alla Madonna un vescovo “che sia un padre, un fratello, un amico”.
Dopo diversi giorni di viaggio, entriamo nella città nel giorno della festa di Nostra Signora di Lourdes, l’11 febbraio 1982. Ci dirigiamo verso la grotta quando, all’improvviso, sentiamo il clacson di una macchina. Un amico di lunga data, che abita nei paraggi, esce dalla macchina: “E voi che fate qui?”, esclama. Noi gli raccontiamo brevemente i fatti. «Io so chi è il vescovo che voi cercate – dice – allora è per voi che sono venuto a Lourdes. Questa mattina mi sentivo letteralmente spinto a prendere il volante e, nel mio cuore, sentivo costantemente: “Il padre Jean a Lourdes!”. Sì, per voi è il padre Jean Chabbert, l’arcivescovo di Rabat in Marocco!».
È vero che avevamo conosciuto questo vescovo un anno prima, durante il congresso eucaristico a Lourdes. Avevamo avuto, allora, uno scambio profondo con lui su quello che stavamo vivendo. Ma in Marocco! Per una fondazione di Chiesa! Non potevamo immaginare un tale inizio! Il nostro amico sa che padre Jean Chabbert deve ritornare in Francia. Ci propone di chiamare l’arcivescovado di Rabat. Oggi stesso, adesso! Se a rispondere al telefono sarà proprio lui, questo sarà un segno. Chiamiamo. Il padre Jean risponde e, sì, è d’accordo, al suo ritorno, ad accogliere nella sua nuova diocesi la piccola comunità.
Più tardi, facendo memoria di quel 11 febbraio 1982, il padre Jean rivelerà che aveva chiesto alla Vergine Maria la grazia di rimanere, durante tutta la giornata, in preghiera davanti alla grotta. Qualche mese più tardi la nominazione divenne ufficiale: Monsignor Jean Chabbert viene inviato a Perpignan.
Quando arriviamo a Perpignan siamo dodici piccole sorelle. È il 28 gennaio 1983, festa di san Tommaso d’Aquino. Troviamo una casa al 33 di via Joseph-Denis, nel quartiere Saint-Jacques, un quartiere povero, abitato da famiglie gitane e magrebine, a due passi dal vescovado. Già due “osservatori” partecipano ufficiosamente a questa fondazione. Sono le primizie dei piccoli fratelli dell’Agnello.
Il 6 febbraio 1983 Monsignor Jean Chabbert, arcivescovo di Perpignan, riconosce, nel seno della Chiesa, la Comunità dell’Agnello. Il 16 luglio di quello stesso anno, nel giorno della festa di Nostra Signora del Monte Carmelo, il Padre Vincent de Couesnongle, all’epoca Maestro dell’Ordine, riconosce la Comunità come “un nuovo ramo nascente dal tronco dell’Ordine dei Predicatori”. Scrive così: «E poiché amiamo condividere le ricchezze tra fratelli e sorelle, io dichiaro che, d’ora in poi, voi partecipate dei meriti dell’Ordine che, a sua volta, come san Domenico ai tempi di Prouilhe, già si sente ricco della vostra preghiera e della testimonianza della vostra vita. È in questa comunione che, sotto lo sguardo di Nostra Signora della Contemplazione, vi benedico in nome di san Domenico».
L’8 agosto 1990, festa di san Domenico, è ancora padre Jean ad accogliere ufficialmente i piccoli fratelli nel seno della Chiesa. Poi, il 22 novembre 1999, fra Timothée Radcliffe o.p., Mastro dell’Ordine, riconosce i piccoli fratelli “come facenti parte della famiglia domenicana”. Il suo successore, fra Carlos Aspiroz o.p., due anni più tardi, confermerà questa accoglienza.
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1 Cf. il testo primitivo dell’Ordine domenicano, in particolare le Bolle pontificie di approvazione dell’Ordine.
2 Gli storici possono dimostrare oggi l’importanza che essa rivestiva per san Domenico nell’attuazione del suo carisma proprio.